Ciao!
Nella newsletter della scorsa settimana avevo promesso che oggi vi avrei parlato di notizie positive. Beh, purtroppo non ce ne sono molte, a dire il vero.
Don’t Panic
L’emergenza sanitaria è giocoforza la notizia di cui si parla praticamente tutto il giorno, in tutti i mezzi di informazione, tra amici (al telefono), tra colleghi (in videoconferenza). Con i parenti, chi li ha lontani è in ansia, preoccupato soprattutto se ci sono persone più deboli che avrebbero bisogno del nostro aiuto.
Quindi si passa dall’atmosfera surreale all’ansia, dalla preoccupazione controllata al panico. Siamo esseri umani, non si tratta di essere sciocchi o menefreghisti: a volte la paura ci fa fare cose senza molto senso.
Proprio per questo la responsabilità delle persone che hanno la possibilità di tenere la testa sulle spalle è raddoppiata: occorre essere saggi anche per gli altri. Cercare di tranquillizzare, di calmare, di ascoltare.
Non cambiano solo i nostri comportamenti, ma cambia anche la percezione verso il nostro prossimo, che dobbiamo tenere ad almeno 1 metro di distanza, ma al quale possiamo parlare e magari aiutare anche senza abbracciarlo.
Altri due termini di cui si sente parlare tanto è smartworking e insegnamento a distanza.
Un mondo tutto smart?
Lo smartworking è un modo di lavorare relativamente nuovo per noi, soprattutto in Italia, e solo poche aziende si erano preparate a questo. Per l’insegnamento a distanza invece quasi nessuna scuola, università comprese, erano preparate.
È chiaro che la didattica comporta un contatto con gli studenti, il professore ha bisogno di vedere chi lo sta ascoltando, gli studenti hanno bisogno di capire l’autorevolezza del loro insegnante anche guardandolo. Fare tutto questo da remoto non è semplice, anche se ci fossero le infrastrutture tecnologiche a disposizione.
In realtà però una notizia positiva c’è, ma forse non ce ne accorgeremo nel breve termine. Tutti quanti, anche i più scettici, si sono resi conto che investire in ricerca, in istruzione e in tecnologia non è un costo, ma una marcia in più per il futuro.
La ricerca, stiamo vedendo tutti in queste settimane quanto sia importante. Studiare un virus nuovo, che non si conosce, imparare come si comporta, come si trasmette, come si sconfigge, non è una cosa che si impara sui social. Occorrono invece anni di studi, di esperienza in laboratorio, di confronti dei propri studi con quelli di altri colleghi.
Tutte cose che richiedono uno sforzo da parte dello scienziato mentre studia, ma soprattutto ne richiedono uno altrettanto ampio da parte della comunità che questo scienziato andrà a proteggere o ad arricchire. Borse di studio, dottorati, incentivi e agevolazioni ai laboratori di ricerca (in ogni campo, quello medico e tutti gli altri), sono strumenti che consentirebbero ad un laboratorio di restar aperto invece che chiudere.
Nelle scuole non solo a volte non ci sono i computer, ma spesso non c’è nemmeno una rete dati sufficientemente ampia da consentire la connessione verso una piattaforma di insegnamento. E gli insegnanti sono stati lasciati soli a cercare di imparare cose di cui non ne sapevano niente: un professore di storia (ma potrebbe essere anche l’insegnante di matematica, se è per questo) non è detto che sappia caricare un video su YouTube o aprire un canale su Twitch. Dovrebbe invece far parte dei corsi di aggiornamento obbligatori per un professore.
Lavorare da casa, dalla spiaggia, dal pub
La stessa cosa vale per lo smartworking: quante aziende hanno a disposizione una rete abbastanza potente da consentire l’accesso da remoto ai propri sistemi aziendali? Quanti dipendenti hanno la possibilità di consultare la posta fuori dall’ufficio? E non sto parlando solo di piccole aziende, ma anche di quelle grandi, come le banche ad esempio. Dall’inizio della settimana io sono in smartworking, lavoro da casa, faccio riunioni in videoconferenza, agisco sulle macchine del data center come se fossi in ufficio. Ed il tutto usando semplicemente un pc portatile non eccessivamente costoso, una cuffia con microfono dal costo di 20€ e una connessione a banda larga attorno ai 60 Mbit/s (nominalmente 100 Mbit/s). Perché non è ovunque così, dove la tipologia di lavoro lo consentirebbe? Molte piattaforme sono ormai in cloud, fruibili anche uno smartphone. È proprio necessario andare in ufficio tutti i giorni?
Ecco, se vogliamo vedere la notizia positiva, è che forse dopo questa emergenza globale anche noi, che in Italia abbiamo sempre sottostimato la tecnologia e la scienza, ci renderemo conto che invece sarebbero soldi ben spesi.
La speranza positiva (e questo è un bel positivo)
Avere una rete a banda larga anche nelle zone rurali, ad esempio, una connessione dati veloce ed affidabile anche nelle regioni agricole più disperse, non è più un accessorio, ma è un elemento importante per lo sviluppo.
Sulla rete possono scorrere dati di ogni tipo, dalle vendite online alle immagini in 3D di un museo, dai giochi in realtà virtuale alle operazioni chirurgiche eseguite a centinaia di chilometri di distanza dal paziente.
Da questo periodo ne usciremo, chi senza molti danni, chi con tristi perdite familiari, chi con attività commerciali ridotte male; qualcuno rischierà il proprio posto di lavoro. Avere impianti tecnologici adeguati, un magazzino controllabile da remoto ad esempio, o la possibilità di vendere online la propria merce e i propri prodotti, far fare un compito scritto ai propri studenti da casa, forse potrebbe limitare un po’ i danni.
La tecnologia cambierà il nostro modo di lavorare? Lo ha già fatto, lo fa tutti i giorni. Ma in molti ancora si devono adeguare al cambiamento
Naturalmente serve anche insegnare ad usarla, tutta questa tecnologia. Dare uno smartphone a qualcuno non risolve nessun problema, se non si è capaci di usarlo. Chi fa il falegname, il ragioniere, il vignaiolo, forse non ha mai avuto la necessità di sapere di tecnologia più di quanto richieda il suo lavoro. E quindi, occorrerà modificare anche il modo di lavorare, farlo evolvere, renderlo davvero moderno e digitale.
Agire in parallelo su tutti questi settori, per fare in modo che tutti i pilastri abbiano la stessa lunghezza e la stessa solidità, è quel che voglio sperare rimanga di tutta questa brutta esperienza che stiamo vivendo.
Quindi, tra le cose che spero, c’è che questa situazione ci abbia convinti ad investire nella ricerca, nell’istruzione, nella tecnologia. E che le prossime leggi di bilancio non vedano la continua diminuzione dei fondi dedicati a questi settori.
Concludendo, seguiamo le indicazioni del Ministero della Sanità e dell’OMS, ascoltiamo scienziati e virologi e non l’ultimo post sui social, e se non abbiamo necessità urgenti facciamo nostro l’hashtag #iorestoacasa.
Grazie per la lettura, al prossimo bicchiere!