Come definire la Wine Tech, navi e Champagne e altre Wine News
168 - Directory News numero 15
Cosa può insegnare il Foodtech
Aggiungere il suffisso ‘tech’ ad altre parole non rende più chiaro di cosa stiamo parlando, va bene solo per fare un po’ di engagement, per attirare l’attenzione. Bisogna metterci dei contenuti. Per questo può venire in aiuto questo paper di DigitalFoodLab, una compagnia francese di consulenza per, riprendo dal loro sito: “… costruire il futuro del cibo”. In questo Paper i due founders Matthieu Vincent e Jérémie Prouteau elencano i sei punti che identificano il mondo del Foodtech. Eccoli qui:
Food Science: le startup che sviluppano nuovi cibi o nuove tecniche per prepararli
AgTech: l’insieme delle startup che introducono elementi di discontinuità nella tradizione agricola, usando dispositivi e processi come i droni, l’IA, i sensori e l’internet delle Cose
Consumer Tech: l’insieme delle attività che aiutano I consumatori a cucinare il loro cibo e a sceglierlo in base ad esigenze specifiche
Supply Chain: sono le startup che introducono nuove soluzioni rivolte ai produttori per migliorare la loro filiera, dalla produzione alla distribuzione
Delivery: nuovi sistemi di consegna, nuovi modelli di business, qui il campo è davvero apertissimo
Foodservice: l’industria dell’ospitalità, il turismo del cibo, il miglioramento dei sistemi di gestione usando anche, se utili, sistemi robotizzati o le cloud kitchens
Il report è interessante, contiene molti spunti di riflessione oltre all’elenco dei sei caratteri fondamentali del Foodtech. Ora la domanda è perché la wine tech non ha una pubblicazione di tipo internazionale come questa. Certo, tutti (non è proprio vero, purtroppo…) mangiano, ma non necessariamente bevono vino o alcolici in genere, per motivi culturali o religiosi, o anche semplicemente di salute. Quindi il mercato del vino è molto meno ricco di quello del cibo. È un fattore di cui tenere sempre conto. Però la wine tech, dopo un piccolo periodo di notorietà a cavallo tra il 2015 e il 2018, sembra relegata alle sole compagnie di delivery che, da parte loro, hanno introdotto poche novità sia nel loro modello di business che nella tecnologia usata. In Italia l’unica degna di nota è Winelivery. Nel 2017 anche Crunchbase si era occupato di winetech, pubblicando una mappa con un elenco delle migliori startup del momento. Questa mappa non è stata più aggiornata, nel 2022 ho provato io a fare un update, ma trovare dati disponibili su questo argomento sta diventando sempre più complicato.
E quindi, se proviamo a sviluppare i sei punti precedenti nella visione della wine tech, mettiamoci dentro anche il più generale Beverage, otterremmo una Wine Science, la VineTech, Consumer Tech, Supply Chain, Delivery, Wine Service. Quindi, chi opera in uno di questi settori potrebbe iniziare a sviluppare questi punti, verificando il proprio posizionamento all’interno di questi punti e dei sottoinsiemi, come l’Enoturismo visto come sottoargomento del WineService, o le note di degustazione e gli eventi come componente del Consumer Tech.
Se avete qualche opinione in merito, vi aspetto naturalmente sul gruppo Telegram dei Digital Wine Lovers per parlarne insieme agli altri. E, a proposito, perché queste innovazioni in Europa sono tutte francesi?
Rompere bottiglie di Champagne
C’è la bottiglia, legata con un nastro, che penzola a mezz’aria, poi arriva la madrina e con un colpo di forbici zac! recide il nastro e la bottiglia vola verso la nave dove si rompe, almeno ci si augura. Ma da dove risale questa tradizione? Dunque, all’epoca dei romani di solito si facevano dei sacrifici di animali per inaugurare una nave, e con il sangue si segnava il legno, che così era protetto, secondo loro, dalle sfortune e dalle tragedie. Mica era vero naturalmente, ma era comunque di buon augurio, tranne che per gli animali sacrificati ovviamente.
L’abitudine continuò per parecchi secoli, finché nel medioevo la chiesa si appropriò anche di questa cerimonia, con un prete o meglio ancora un vescovo che benediva l’imbarcazione e la battezzava. Si era passati dal sangue degli animali all’acqua santa, con tanto di cerimonia religiosa, ma probabilmente i marinai non erano poi così soddisfatti dei risultati. Fu nel XVII secolo che si cominciò ad usare il vino rosso, si tenevano delle cerimonie sul ponte della nave dove tutti i partecipanti bevevano del vino da un enorme calice di cristallo messo in mezzo alla tolda, ed alla fine il calice veniva gettato in acqua.
Ci si rese conto dopo un po’, però, che questo modo era abbastanza costoso, i calici costavano, non sempre l’armatore voleva spendere tanti soldi per un oggetto che poi sarebbe stato buttato a mare, tant’è vero che spesso i calici venivano recuperati per le cerimonie successive. È stato però nel XVIII secolo che si cominciò ad usare una bottiglia da rompere sulla chiglia della nave, prima di vino rosso, poi di Madeira ed infine di champagne, le uniche bollicine dell’epoca, con grande soddisfazione naturalmente dei produttori, mentre negli Stati Uniti durante il proibizionismo si usava acqua di mare oppure sidro di mele.
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L’uso dello champagne per battezzare una nave fu registrato la prima volta nel 1890 negli Stati Uniti quando la nipote sedicenne del segretario della marina fu chiamata per il varo della USS Maine. Nel 1891 la regina vittoria battezzò la HMS Royal Arthur con lo champagne a Portsmouth, in Inghilterra, e per la prima volta fu usato un congegno elettrico, la regina premette un pulsante e staccò così la corrente alla morsa che tratteneva la bottiglia, che volò rompendosi contro il fianco della nave. Ovviamente se una bottiglia non si rompe non è un buon segno, porta male insomma.
Da quel che sembra, anche la bottiglia che servì per inaugurare il Titanic rimase intatta, così come quella della Costa Concordia, ma lì come sappiamo la colpa fu della bottiglia ma in un altro senso. Nel 2007 anche la allora duchessa di Cornovaglia, l’attuale regina consorte Camilla, battezzò la nave passeggeri Regina vittoria, ma la bottiglia non si ruppe e durante il viaggio inaugurale i passeggeri soffrirono di dolori di stomaco e vomito, tanto che il virus intestinale che li colpì fu chiamato la maledizione di Camilla.
Sono cambiate anche le madrine, che inizialmente erano la moglie o la figlia del proprietario o del progettista, mentre oggi si invitano donne e ragazze dello star System, di solito da Hollywood, attrici, cantanti, personaggi famosi del cinema o della televisione. Con l’evoluzione vedremo probabilmente le influencer di Instagram o di Tic Tok a rompere le bottiglie sulle navi.
Champagne e Climate Change
Gli appassionati di vino conoscono bene lo Champagne, le differenze fra un Blanc de Blanc ed un Blanc de Noir, contano le bollicine nel calice e insomma fanno tutte quelle cose che spesso non consentono di godersi davvero una buona bevuta. Purtroppo aromi e gusto potrebbero presto cambiare proprio a causa dei cambiamenti climatici. La regione dello Champagne è a rischio alto di soffrire, nei prossimi 10-15 anni, di una forte siccità che avrà grandi effetti sulle uve più delicate. Già ora alcuni esperti credono di aver notato delle differenze rispetto agli Champagne assaggiati solo 10 anni fa, ma l’unica soluzione per i produttori francesi, così come tutti i produttori di vino nel mondo, Italia compresa checché ne dicano alcuni senatori, dovranno adattarsi, modificando il loro modo di coltivare le viti e di produrre i loro vini. Un vigneto non si può spostare un po’ più in su, come si farebbe con un carretto che vende hot dog, e ovviamente questo vale per tutte le produzioni agricole. La sfida è esattamente questa, una sfida che bisogna iniziare presto ad affrontare usando botanici, enologi, agronomi, ed anche cercando l’aiuto della tecnologia. Certo, se paragoniamo l’eventuale prossima scarsità di Champagne con le possibili carestie in alcune zone del mondo, questo problema passa del tutto in fondo alla lista.
Il vino australiano spera di tornare in Cina
Nel 2020 la Cina alzò le tariffe di importazione di beni australiani per un valore di 20 miliardi di dollari, portandole a superare il 200%. L’evento fu causato dal solito fastidio cinese quando qualcuno inizia a parlare dei suoi metodi poco democratici, e così Pechino decise di colpire le importazioni australiane. Ne scrissi su questo post, dove trovate tutti i riferimenti necessari. Ora però, forse, c’è uno spiraglio in questa vicenda, perché la Cina ha deciso di tornare ai normali dazi di importazione dell’orzo australiano, e questo fa ben sperare anche i produttori di vino. L’Australia esportava in Cina il 39% del vino prodotto, soprattutto vino sfuso che è il 70% del vino acquistato dai cinesi. Fino a novembre 2020 il mercato di Pechino era il posto dove il vino australiano veniva pagato di più, fino a 6,86 dollari al litro, rispetto ai 2,28 $/litro degli USA e gli 1,18 $/litro del Regno Unito.