Cosa è la carne coltivata ed il suo mercato
La crescita delle cellule, i bioreattori, il mercato futuro
Iniziamo dalla definizione.
Carne sintetica è un modo sbagliato di descrivere questi alimenti. Dal punto di vista comunicativo fa sicuramente più presa verso chi pensa di difendere il made in Italy del cibo, ma è una definizione sbagliata. Anzi, in chimica sintetico è un aggettivo che si usa per indicare qualcosa che non contieneelementi animali o vegetali. Il cotone sintetico non contiene cotone, la gomma sintetica non contiene gomma, e così via.
Quindi la carne sintetica non contiene carne, mentre invece ciò di cui stiamo parlando è prodotto proprio a partire da cellule animali.
Posso capire che chiamare hamburger un prodotto vegetale sia fuorviante, ma questa è una cosa del tutto diversa. Definire questi prodotti ‘carne sintetica’ è sbagliato e volutamente disinformativo. In realtà la definizione del nome di questo prodotto è una questione che nasce almeno dal 2019.
La differenza principale rispetto alla carne convenzionale è che la carne coltivata non richiede la macellazione di animali perché si ottiene da cellule animali che vengono coltivate al di fuori dell'animale. Ciò significa che non è più necessario allevare enormi quantità di animali solo per macellarli per la loro carne.
Come si coltivano le cellule
Per essere sintetico (scusate…) si preleva una piccola quantità di cellule staminali da un animale tramite una biopsia. Si usano le cellule staminali perché sono quel tipo di cellule che, all’interno di un ambiente preparato in modo adatto, si trasformano in cellule specializzate: è lo stesso meccanismo che avviene nel normale procedimento della formazione di un feto. Le cellule cioè vengono messe in un coltivatore (il bioreattore), che può mantenere le cellule a una temperatura ottimale, mescolarle e ossigenarle. È un ambiente adatto alla moltiplicazione delle cellule, che quindi si trasformano in cellule delle fibre muscolari. Per nutrirle si utilizza un liquido con una miscela specifica di zuccheri, proteine, vitamine, minerali e qualsiasi altra cosa necessaria per nutrire le cellule. Poi bisogna modellarle nella struttura giusta, ossia l’operazione di differenziazione cellulare. Si inserisce una struttura rigida, in genere formata da amidi, che fa da supporto per le cellule così che crescano come fibre muscolari e successivamente come tessuti muscolari, formati appunto da fibre.
Dopo circa 6-8 settimane, le cellule sono diventate un pezzo di muscolo e sono pronte per essere raccolte. La parte rigida può essere rimossa, ma se è costituita da elementi commestibili, come gli amidi, può restare all’interno del muscolo.
In tutto il procedimento non c’è niente di sintetico, nasce tutto da cellule animali, da zuccheri, da sali minerali: lo stesso procedimento con cui crescono e si moltiplicano le cellule di un vitellino, solo che poi non dovete ammazzarlo. Anche i lieviti della pizza vengono fatti crescere nello stesso modo, senza l’uso di bioreattore ovviamente, ma il procedimento è lo stesso. Anche i lieviti industriali che vengono usati per la fermentazione del mosto nella produzione di alcuni vini vengono prodotti così. Insomma, non è un procedimento strano, lo è solo per chi non ha mai letto nemmeno una pagina del libro di biologia del quarto anno delle superiori.
Potete leggere qualcosa in più a questo link, dove si parla proprio di bioreattori e di produzione degli yogurt. A questo link trovate un pdf con altri riferimenti per quel che riguarda la tecnica.
La legislazione
Il 28 marzo è stato approvato dal governo Meloni un disegno di legge per vietare alimenti e mangimi sintetici, a cui poi è stato cambiato il titolo perché, appunto, ‘alimenti sintetici’ non significava nulla. Il nuovo decreto, approvato alla Camera il 19 luglio, si intitola “Disposizioni in materia di divieto di produzione e di immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti, isolati o prodotti a partire da colture cellulari o di tessuti derivanti da animali vertebrati nonché di divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali”
La Coldiretti naturalmente ha applaudito questo provvedimento, che implica che in Italia non potrà essere prodotta e venduta alcun tipo di carne coltivata. Ma è una legge che come oggetto ha qualcosa che non esiste.
In un filmato di Coldiretti Giovani vengono presi alcuni punti per mostrare che la carne sintetica (che abbiamo detto essere una definizione fuorviante, ossia volutamente sbagliata) è uno dei massimi problemi per l’umanità. A parte i toni catastrofici, ci sono alcune inesattezze.
Pochi dati a disposizione
Non è ad esempio vero che nelle etichette non compaia la dicitura di carne sintetica, semplicemente perché ancora non c’è niente del genere in commercio! Sarebbe come dire che nelle etichette dell’acqua Jabra di Marte non è indicato il volume alcolico. È però vero che fino a qualche tempo fa, l’ambiente in cui le cellule venivano fatte crescere era formato dal sangue dei feti di vacche gravide macellate. Dal 2021 questo metodo è stato sostituito dall’utilizzo di un ambiente di coltura di provenienza vegetale, con gli stessi nutrienti e caratteristiche di quello usato precedentemente. Insomma, lo studio e la sperimentazione permettono di migliorare le tecniche e renderle, anche eticamente, più sostenibili.
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Per quel che riguarda lo sfruttamento dell’ambiente, dell’acqua, del suolo, le emissioni di CO2 dei bioreattori, non ho argomenti, tranne che non è vero che la CO2 rimane nell’atmosfera per migliaia di anni ed il metano prodotto dagli animali invece no. E per diminuire la CO2, oltre che migliorare i nostri comportamenti, c’è un sistema piuttosto semplice, tipo piantare più alberi ed evitare di distruggere quelli esistenti, tipo quello che hanno fatto in Brasile negli ultimi anni con Bolsonaro. Bisognerebbe fare i conti, ma forse la CO2 prodotta da un bioreattore è minore, a parità di kilo di carne, rispetto a quella di un camion frigorifero che porta la carne nei mercati. Ma immagino che Coldiretti abbia la possibilità di pubblicare questi dati. Fino ad ora, non l’ha fatto.
Per ora esiste uno studio del 2011 della professoressa Hanna Tuomisto dell’università di Oxford e altri, che invece conferma una produzione di CO2 dall’80% al 96% in meno rispetto alla produzione classica di carne, ed uno sfruttamento del suolo pari all’1% di quello attuale, per tonnellata di carne.
In questa pagina di PubMed trovate una lista di articoli che riguardano lo stesso argomento. Nell’abstract del suo studio si legge:
Nonostante l'elevata incertezza, si conclude che gli impatti ambientali complessivi della produzione di carne coltivata sono sostanzialmente inferiori a quelli della carne prodotta in modo convenzionale. Non stiamo dicendo che potremmo, o vorremmo necessariamente, sostituire la carne convenzionale con la sua controparte coltivata in questo momento, tuttavia, la nostra ricerca mostra che la carne coltivata potrebbe essere parte della soluzione per nutrire la popolazione mondiale in crescita e, allo stesso tempo, ridurre le emissioni e risparmiare energia e acqua. In poche parole, la carne coltivata è potenzialmente un modo molto più efficiente ed ecologico di portare la carne in tavola (dall’articolodell’Università di Oxford).
Naturalmente ci sono anche autorevoli studi che affermano il contrario, soprattutto sull’impatto ambientale, come questo articolo (2019) di Eric Muraille dell’Università di Bruxelles.
Proprio perché i dati sono davvero pochi, ancora non è del tutto chiaro il peso e l’impatto di questa nuova tecnologia per la produzione di cibo.
Ma d’altra parte se non si procede alle sperimentazioni, ai test in laboratorio, alle misurazioni, sarà del tutto impossibile sapere se la carne ottenuta da cellule coltivate avrà lo stesso potere nutriente, se non ci saranno controindicazioni per la salute, se davvero potrà aiutare a diminuire l’impatto ambientale. Forse si e forse no, ma senza dati precisi non è dato saperlo; e non sarà possibile, in Italia, avere dati precisi perché viene di fatto vietata la sperimentazione. Lo potranno fare altre nazioni, ma non noi, che rimarremo quindi fuori da questo business.
In questo articolo (2019) su Lancet potete trovare invece alcune considerazioni generali sulla produzione di cibo per quegli 840 milioni di persone (all’epoca) che non hanno facile accesso ad una alimentazione sana. Anche questo è un argomento che potrebbe avere un peso sulla produzione di alimenti alternativi. Insomma, come sempre la possibilità di avere un prodotto nuovo non implica l’obbligo a consumarlo. Possiamo farlo oppure no, tutto qui.
Solo USA e Singapore
A dire la verità non esistono tanti altri dati, ma anche da parte dei detrattori della carne coltivata non ci sono dati reali, proprio perché ancora non ci sono grandi produzioni di carne coltivata.
Addirittura potrebbe essere anche più sana rispetto alla carne cresciuta in modo naturale, visto che si possono evitare contaminazioni chimiche, virus, batteri, riducendo anche l’uso di eventuali antibiotici di cui oggi molti allevamenti fanno un super utilizzo. Potrebbe anche essere più nutriente, basta aumentare le proteine all’interno del sistema di produzione. In ogni caso esistono degli enti che forniscono l’autorizzazione alla commercializzazione dei cibi e bevande, che fanno dei test per capire se un alimento sia pericoloso per la salute oppure no, ed eventualmente ne vietano la vendita.
Negli Stati Uniti la FDA (Food&Drug Administration, l’ente per il controllo della sanità del cibo) effettua controlli rigorosi su questo tipo di carne, così come fa normalmente sulla carne classica che tutti conosciamo. In Europa esiste l’EFSA, l’ente per il controllo degli alimenti, mentre la parola finale sulla messa in commercio spetta comunque al singolo Stato; in Italia se ne occupa il Ministero della Salute, che certifica anche tutto il cibo che troviamo nei mercati e supermercati italiani.
Anche l’eventuale carne coltivata che si dovesse produrre in Europa (e a oggi non ne esiste), prima di essere venduta dovrebbe passare per il controllo dell’EFSA, che comunque ancora non ha ricevuto alcuna richiesta di sperimentazione e produzione. Ma c’è già un mercato per la carne coltivata? Chi la produce, quali legislazioni ci sono negli altri paesi? Quanti soldi vengono investiti?
Per ora la carne coltivata è stata autorizzata alla commercializzazione solo negli Stati Uniti e a Singapore dai rispettivi enti di controllo; è solo carne di pollo, niente bovino. Ad oggi il costo va dai 400 ai 1000$ al kilo, un prezzo che probabilmente andrà a diminuire nel corso degli anni. Da quest’anno, inoltre, la carne di pollo coltivata si potrà trovare anche nei ristoranti di San Francisco e Washington D.C., e per ora saranno gli unici posti dove trovare questo cibo. Le aziende a cui la FDA ha dato l’autorizzazione alla vendita sono solo due: Good Meat e Upside Food.
Good Meat, fondata nel 2011, ha ricevuto fino ad ora 267 milioni di dollari di finanziamenti da venture capital, ed è un ramo di Eat Just, una startup di San Francisco che si occupa di cibo a base vegetale, così come Just Egg.
Upside Food è stata fondata nel 2015 a Berkeley, in California, ed ha ricevuto quasi 600 milioni di dollari di finanziamenti.
Se vi interessa leggere qualcosa in più sulla legislazione USA in merito alla carne coltivata, questo è il link fa per voi. In etichetta, e quindi sul menù, dovrà comparire esplicitamente che si tratta di pollo a coltivazione cellulare. Probabilmente troveranno qualche definizione più simpatica, ma di certo dovrà essere indicata la differente provenienza. Ci sono però altre aziende che stanno compiendo sperimentazioni sulla produzione di carne coltivata, anche se non hanno per ora l’autorizzazione alla vendita.
SciFiFoods è un’azienda nata nel 2019 in California che ha ottenuto 22 milioni di dollari di finanziamento; per produrre queste bistecche utilizzano il sistema che ho descritto sopra, bioreattori dove vengono fatte crescere le cellule degli animali che poi formeranno la bistecca.
Anche Novel Farms è californiana, nata nel 2020 e fino ad ora hanno avuto poco più di 2 milioni di dollari di finanziamenti. In home page spiegano che il famoso prosciutto iberico è costoso e difficile da produrre, mentre con il loro sistema si abbattono i costi, e non i maiali. Hanno da poco lanciato anche la loro lonza di maiale, ma ripeto che sono solo sperimentazioni.
Ancora in California troviamo New Age Eats, nati nel 2018 hanno avuto fino ad ora 32 milioni di finanziamento, l’ultimo da 25 milioni a settembre dell’anno scorso. Anche loro sono specializzati in maiali, insomma in prodotti nati da cellule di suino.
Una legge su qualcosa che non esiste
La carne coltivata non è ancora un fenomeno tale da poter impensierire i produttori di carne, sebbene il Ministero dell’Agricoltura creda diversamente. Difficilmente lo diventerà a breve termine, non ci sono impatti misurabili per le produzioni di carne italiana. Mancano i dat proprio perché le produzioni sono davvero esigue e non si riesce a tirar fuori uno studio solido. La legge italiana è allo stesso livello del divieto di parcheggio in doppia fila per dischi volanti. A lungo termine, anche il sistema di produzione si potrà adeguare, differenziando i sistemi di allevamento, ad esempio.
Ma è come dire che l’invenzione del frigorifero ha distrutto la categoria dei venditori di ghiaccio, e quindi andava vietato.
Al contrario di quanto affermato dal Ministro Lollobrigida, il ddl non ci mette all’avanguardia ma al contrario impedisce che diventiamo avanguardia nello studio e nella sperimentazione alimentare. La coltivazione di colture cellulari è una tecnica già nota, si usa anche nelle cure di particolari malattie o nella tecnologia dei trapianti, quindi niente di nuovo o da demonizzare.
Inoltre le cellule fatte crescere nei bioreattori non hanno tracce di antibiotici, cosa di cui invece spesso gli animali sono pieni.
In ogni caso questo mercato è in fase di sviluppo in alcuni paesi, ad USA e Singapore vanno aggiunti Israele e la Danimarca, sebbene in questi ultimi non sia ancora possibile la commercializzazione. Potrebbe essere un buco nell’acqua, naturalmente, ma se non lo fosse noi resteremmo completamente fuori, lasciando il futuro mercato nelle mani di aziende non italiane.
Come per tante altre questioni legate a cibo e vino, andrebbe fatta una analisi con esperti di vari campi, anche sociologi e tecnici ambientali, per avere un quadro completo. Invece è bastato mettere l’etichetta del Made in Italy alimentare per fermare qualunque tentativo di cominciare sia un dibattito fatto da esperti che una sperimentazione da cui avere dati per far decidere il legislatore.