Ciao, e Buon 2020!
Le ultime notizie del nostro pianeta a cavallo del passaggio all’anno nuovo non sembrano molto buone. Tra le proteste delle giovani generazioni, dichiarazioni di guerra via Twitter e l’Australia che brucia da dieci giorni, non sembra che stiamo messi tutti molto bene.
Nonostante questo, ho voglia di essere fiducioso e confidare nelle nuove generazioni, nella loro visione ampia del futuro, nella loro voglia di abbattere barriere fisiche e culturali, nel loro essere globali. Oggi i giovani hanno la possibilità, se vogliono, e certo non tutti purtroppo, di viaggiare a costi relativamente bassi e di lavorare praticamente da ogni punto del pianeta.
La tecnologia che consente questo è il Cloud, che si avvale della velocità sempre maggiore delle reti dati: trovare un punto dove lo smartphone ‘non prende’ sarà sempre più difficile.
Ma cosa è, in definitiva, il Cloud? Qualcuno potrà avervi spiegato che è semplicemente un posto dove tenere i vostri dati, e quindi una estensione del disco fisico del vostro pc. È questo, ma è molto di più. Intanto, quando si parla di Cloud non si intende una entità misteriosa che chissà dove è. Il Cloud, di Google, quello di Amazon, di Apple, o altri, non è nient’altro che un insieme di server che si trovano in qualche data center. Possono stare in Irlanda o in Nuova Zelanda, negli USA o in Estonia, ma sempre di server fisici stiamo parlando. La potenza delle tecnologie Cloud risiede nel fatto che, quando vi serve un programma, se è presente la versione Cloud non dovete installarlo nel vostro pc o nello smartphone, ma basterà collegarvi ad un server. A voi non farà alcuna differenza che questo server sia in Irlanda o ad Aruba, l’importante è che lo possiate raggiungere dovunque voi siate.
Questo ha portato i programmatori a disegnare le piattaforme software in modo diverso dal solito. Oggi queste piattaforme si collegano le une con le altre, e si possono usare pezzi di software diversi per costruire una applicazione su misura per le proprie esigenze. È come un unico, grande cesto di mattoncini colorati, che si possono prendere e connettere tra loro per costruire quasi quel che si vuole. Il quasi è d’obbligo, visto che non siete voi i programmatori, ma sono gli ingegneri di Amazon, di Google, di Apple, di Dropbox.
Ma è dalle esigenze dei clienti che nascono le nuove piattaforme, ed è il caso di Deep Sky Vineyard, un’azienda vinicola in Arizona, che ha deciso di affidarsi ad un partner del programma Google Cloud Technology, Niolabs, per gestire gli impianti di irrigazione ed il sistema di monitoraggio dei propri vigneti. In questo modo hanno risparmiato quasi 7 milioni di litri di acqua, lo scorso anno, e diminuito gli errori umani e sono sempre al corrente di quel che accade alle loro uve. Anche quando sono lontani per una fiera.
Se ne volete sapere qualcosa in più, ne parlo nella prima puntata del podcast, l’Episodio 45.
A proposito del podcast, pare che stia andando abbastanza bene. Non avevo grandi speranze, a dire la verità, visto l’argomento trattato, ossia l’unione tra vino e tecnologia. Ma invece, sia gli episodi dedicati alla WineTech che quelli dedicati alle storie del vino, hanno un buon numero di ascolti, soprattutto su Spotify. Se anche tu sei tra gli ascoltatori, ti ringrazio; in caso contrario, che aspetti ad iscriverti?
Ah, ho pensato anche di usare Patreon per il finanziamento del progetto The Digital Wine. Una piccola cifra mensile che consentirà a voi di ricevere una volta al mese contenuti esclusivi, ed a me di migliorare sia i contenuti che la tecnologia del podcast e di tutto il mio progetto.
Bevete con moderazione, e mai prima di mettervi alla guida.
Al prossimo bicchiere!