Enoturismo e DTC: come fare?
Anche se alcune cantine vinicole utilizzano il DTC per il proprio business, a livello di territorio i punti di accesso sono disconnessi.
In pratica si riduce il tutto alla vendita diretta in cantina o, al massimo, sul proprio e-commerce. Probabilmente la stessa cosa fanno alcune aziende agricole, sicuramente lo fanno gli alberghi che vendono le proprie camere sul loro sito web, o i ristoranti. Il più delle volte, però, queste realtà passano attraverso degli intermediari, e-commerce verticali specializzati in vendita di vini, o di camere d’albergo, o di cene al ristorante. Quando compriamo vino o prenotiamo una vacanza, siamo clienti di questi intermediari, non del produttore (di vino o di camere di albergo).
Sono davvero poche le aziende vinicole che raccolgono le email dei visitatori, e quindi non fanno segmentazione dei propri ospiti. Le quantità di vino acquistate, se è un single, una coppia giovane con figli, un gruppo di amici amanti dell’escursionismo in bicicletta: tutte informazioni che vanno perdute.
Anche all’interno di uno stesso territorio, composto da cantine, aziende agricole, ristoranti, musei, siti archeologici, botteghe di artigiani, i dati non sono raccolti in un unico database di proprietà del territorio, di quella regione turistica, ma restano nei database delle grandi piattaforme digitali che fanno da intermediari.
Non essendo raccolti in un punto unico, i dati non vengono condivisi ed il territorio resta disconesso, operatori che non parlano e non condividono le informazioni e quindi strategie che non sono trasversali, ma verticali. Come se i negozi della Nike non scambiassero informazioni fra loro, come se Apple non aggregasse i dati, come se Netflix lasciasse separati i dati che arrivano dall’utente A e quelli che arrivano dall’utente B. Ed il proprietario della cantina non saprà mai se il visitatore wine lover è andato a visitare un museo, o una libreria, non saprà dove va a cena. Così come non lo sa l’albergo dove alloggia o l’artigiano che ha venduto un suo prodotto al turista.
C’è poi un altro aspetto da considerare.
Non essendoci un punto unico di accesso al territorio, quando il turista torna a casa non ha la possibilità di accedere ai prodotti e ai servizi di quella regione che ha visitato, semplicemente perché non esiste un punto unico di accesso. Così deve tornare ad usare i servizi degli intermediari digitali, delle piattaforme di e-commerce verticale, i marketplace del vino, del cibo, del turismo. E se ad esempio quella cantina vinicola non è presente in una delle piattaforme di e-commerce più conosciute, quel vino non se lo beve più, perché sarà difficile da trovare, se è un vino locale. Certo, può telefonare alla cantina, o mandare una email. Ma deve farlo per il vino, poi per la pasta fatta in casa, e insomma per ognuno dei prodotti che vorrebbe continuare ad avere. Tutta la fatica fatta per portare quelle persone in quel territorio viene vanificata.
Se vuoi saperne di più sulle tecnologie digitali nel mondo del Beverage, ascolta il mio podcast:
In questo caso c’è una specie di barriera, tra produttore e consumatore, sia nelle vendite che nell’advertising: un intermediario che utilizzerà i dati a proprio vantaggio. Sintetizzando, quali sono i punti deboli di questo modello dell’enoturismo?
- Non c’è nessuna raccolta dei dati, non può esserci perché questi vanno a finire nelle mani dell’intermediario.
- I punti di accesso sono isolati, non parlano fra loro, non si scambiano i dati e le informazioni. Cantine, aziende agricole, ristoranti, alberghi e tutte le altre attività della regione, sono disconessi. Raramente ho ricevuto email regolari dalle cantine che sono andato a visitare, mentre ne ricevo (anche troppe) dai marketplace dove mi è capitato di acquistare il vino. Il contatto con quelle cantine si è interrotto e devo essere io, se voglio, a riallacciarlo.
- Guardando all’aspetto dell’enoturismo, manca un punto di accesso unico al territorio, un negozio, fisico o digitale, che sia immediatamente riconoscibile e che riesca a fornire i prodotti e i servizi tipici di quel territorio.
In definitiva il territorio non lavora come un brand unico.
Non lasciate la tecnologia digitale agli esperti di marketing
Si parla sempre del mercato del vino, poi del mercato del turismo, poi del mercato della cultura, o del cibo o di altre cose, come se fossero tutti slegati. Gli operatori di settore parlano di importanza del territorio come una parola magica, senza pensare che non bastano belle (più o meno) foto e belle (più o meno) pubblicità di una regione.
Al BTO di Firenze del 2022, come rappresentanti delle istituzioni c’era solo un piccolo banchetto del portale di Italia.it. E la maggior parte degli interventi era centrato sul metaverso, quando ancora non si riesce a costruire una newsletter regolare usando una delle molte piattaforme gratuite. Vediamo chi sarà presente quest’anno dove la parte digitale degli argomenti sarà centrata, indovinate, all’Intelligenza Artificiale.
Ma senza una vera policy (non una politica, ma una vera e propria Blue Print) sulla IA, sarà difficile farla uscire dal semplice e più immediato uso nel settore del marketing. E purtroppo devo dire che proprio le strategie di vendita sono quelle che più inaridiscono tutte le innovazioni tecnologiche, spacciandole per panacea di tutti i mali finché vanno di moda per poi passare all’innovazione successiva. E spesso gli esperti di marketing di tecnologia non capiscono niente, ma la sanno vendere benissimo.
Invece, come punto di partenza sarebbe necessario creare un punto di accesso unico a tutti i prodotti di una regione, di un distretto, e far lavorare il territorio come un brand unico anziché come tanti punti separati. Che molte cantine non possano farlo da soli è ovvio, ma è il momento che si accorgano che stanno lasciando un mucchio di soldi sul tavolo che vengono presi da chi fa molta meno fatica di loro. Sapere che tra i propri clienti ci sono famiglie, coppie di anziani, gruppi di amici, amanti del jazz o della pittura puntinista, è un mezzo per creare nuove offerte a gruppi omogenei di appassionati, e quindi di clienti.
E poi è necessario condividere questi dati fra tutte le realtà, senza dover ogni volta rincorrere i vari report delle associazioni dei viticoltori, dei ristoratori, degli albergatori.
Senza una policy di raccolta dei dati, di aggregazione e costruzione di appositi cluster, di analisi e infine di utilizzo, parlare di IA è semplicemente pubblicità. Molto poco utile per la costruzione di nuovi paradigmi e nuovi modi di lavorare nel settore Food&Wine, nel Beverage in genere.
Apple, Nike, Netflix, usano le app digitali per segmentare i propri clienti. Le aziende vinicole usano il loro vino per attrarre visitatori, ma poi non riescono a costruire un filo di comunicazione solido e costante.
Difficile costruire una strategia con dati così frammentati.
Immagine iniziale realizzata da me tramite Midjourney