I vini europei soffrono di più i cambiamenti climatici?
Secondo alcuni studi, la risposta alla domanda del titolo è un drastico si, questo almeno è quanto dicono i ricercatori dell’Università della British Columbia. La loro risposta deriva dall’analisi delle aree vitivinicole mondiali, con oltre 500 varietà di uve prese in considerazione.
Il grafico qui sotto prende in considerazione due uve che sono, per la resistenza alle temperature, un po’ agli estremi, ossia la Grenache e il Pinot Nero. La Grenache è più tollerante al caldo e a maturazione tardiva, mentre il Pinot Nero è meno tollerante al caldo e a maturazione precoce. Le proporzioni mostrate rappresentano la differenza netta tra guadagni e perdite di idoneità, calcolata confrontando l'idoneità prima del cambiamento climatico e l'idoneità in uno scenario di 2 °C di riscaldamento.
L’esame delle temperature medie, osservando il caldo estremo, la stagionalità e le temperature invernali, i ricercatori hanno ricostruito un quadro completo di come i cambiamenti climatici stiano ridisegnando la viticoltura. Alla fine, la conclusione è stata che i cambiamenti climatici hanno un impatto disomogeneo nelle varie regioni del mondo. E se questo è un risultato che chiunque di noi avrebbe potuto prevedere, la ricerca dell’Università ha misurato queste differenze, scoprendo che i vini dell’Europa sono quelli più a rischio, a causa dei cambiamenti climatici.
Se l’obiettivo della COP29 di Baku del 2024 era il raggiungimento di un innalzamento massimo di 1,5°C, alcune zone del continente europeo hanno registrato aumenti di temperatura fino a 2,5°C. Questo ha influito sul momento della vendemmia, oggi ad esempio diventa piuttosto complicato fare vini di vendemmia tardiva, visto che ormai si vendemmia ad agosto, e dopo si rischia di gettare tutto il raccolto. La maturazione è cambiata, il gusto del vino ottenuto è cambiato. Sono aumentati i giorni di temperature maggiori di 35°C.
Le viti sono già molto vicine al limite di calore e piccole variazioni di temperatura, come potrebbe sembrare un aumento di 2,5°C, sono davvero pericolose, portando maggior carenza idrica e un aumento del rischio di incendi boschivi.

L’Europa inoltre ha regioni vinicole ad una latitudine maggiore di altre regioni mondiali dell’emisfero nord, come ad esempio gli Stati Uniti. E queste zone subiscono un riscaldamento più estremo, le regioni settentrionali si riscaldano maggiormente a causa dei cambiamenti nei modelli di circolazione delle correnti. In Sud America, ad esempio, ci sono aumenti di temperature simili a quelli europei, ma il caldo estremo, ossia i picchi di temperatura e il numero di giorni in cui sono osservati, è minore.
Questo comporta che le viti avranno rese minori, con maggiori danni sul frutto e sulla vegetazione.
All’interno del continente europeo, nel 2024 sono state esaminate le differenze tra le varie zone vinicole, e le regioni meridionali sono naturalmente le più vulnerabili.
Le soluzioni per mitigare i danni dei cambiamenti climatici ci sono ma non sono immediate. Portainnesti resistenti e introduzione di varietà di uva differenti, con appositi programmi di selezione, modifiche delle tecniche e dei tempi di potatura. Appunto, non soluzioni immediate, e nemmeno semplici da attuare per molti produttori.
Anche la tecnologia può aiutare i viticoltori, con sensori di misurazione al suolo, stazioni meteorologiche e immagini satellitari per fornire dati in tempo reale. In questo modo i viticoltori possono prendere decisioni migliori in materia di irrigazione, vendemmia e protezione delle colture. Sarebbe necessario che i territori fossero raggiunti da reti di connessione efficienti, ovviamente, ma su questo ci tornerò con una prossima newsletter.
L’importanza delle pratiche biologiche

L’analisi dei dati deve comprendere sia quelli presi in vigna e in cantina che quelli presi sul mercato, le abitudini di consumo, insomma. Anche le certificazioni che supportano e premiano le riduzioni di CO2 possono essere utili, sia come sovvenzioni che come effetto sulle vendite. La International Wineries for Climate Action (IWCA) è stata fondata nel 2019 dalla spagnola Familia Torres e dalla statunitense Jackson Family Wines e si propone di partecipare alla Race to Zero, l'iniziativa promossa dalle Nazioni Unite per ridurre le emissioni del 50% entro il 2030 puntando a zero emissioni entro il 2050. I membri si sottopongono a un audit di terze parti sui gas serra (GHG) in tutta la propria azienda, in conformità con il Protocollo sui gas serra del World Resource Institute. Questo include le emissioni dirette, quelle indirette derivanti dall'elettricità e le emissioni della filiera.
Complicato, dispendioso in termini di tempo e potenzialmente costoso, il processo è realizzabile solo per aziende piuttosto grandi, ma può essere proibitivo in termini di effort finanziario ed umano per i produttori con minori risorse. Per questo motivo organizzazioni come IWCA sono fondamentali, conividere gli sforzi tra produttori per raggiungere il miglior risultato possibile.
Iniziative del genere sarebbero necessarie anche in Italia, se si riuscisse a trovare un insieme di produttori con la voglia (e la forza) di condividere le loro pratiche di sostenibilità.
Nota: questo post si basa sulle informazioni riprese da SevenFifty Daily - How Producers are making Climate-Friendly winemaking a reality