Ciao,
questa è la prima newsletter di una serie di tre dedicate all’enoturismo, ed inizio naturalmente dall’Italia iniziando dai report di Città del Vino, associazione nazionale che presenta ogni anno un rapporto sulla situazione del turismo del vino. I documenti attualmente disponibili sono relativi all’anno 2020 contenuti nel 17mo report presentato a Siena a giugno di quest’anno.
L’analisi di Città del Vino è stata eseguita con lo strumento dell’intervista, 100 fra comuni, associazioni turistiche, strade del vino riconosciute, sono stati intervistati per capire non solo cosa sia successo l’anno scorso, ma soprattutto per provare a stilare un prospetto di azioni da compiere almeno dal prossimo anno.
Oltre il 70% degli intervistati prevede che serviranno da 1 a 2 anni per uscire dalla crisi causata dalla pandemia, due anni che possono essere utilizzati per migliorare l’offerta turistica, ad esempio. Ed ancora oltre il 70% del campione pensa che un aiuto concreto sia la realizzazione di un piano straordinario per il turismo, fatto di organizzazione e gestione. Gli incentivi sono al primo posto solo per il 16%.
Nelle altre risposte si vede sempre un ottimismo di fondo, il che è ovvio altrimenti non si va avanti, e quasi sempre improntate alla richiesta di gestione e di infrastrutture, come l’accessibilità viaria, un argomento ovvio ma non scontato.
Passiamo ad altri numeri, presi da Mediobanca, una serie di report fatti sui dati delle prime 240 aziende vinicole italiane, quindi stiamo parlando di un totale di 4 miliardi e mezzo di euro di fatturato.
Nel 2020 c’è stato un balzo in avanti delle vendite online, come è ormai noto, il 2,6% di tutto il venduto è passato per la rete, rispetto allo 0,9% del 2019. Tre volte tanto, insomma. E di questo 2,6% poco meno della metà è dovuto alla vendita diretta, usando gli e-commerce aziendali. Considerate che nel 2019 il totale della vendita diretta era attorno allo 0,2%. In denaro, considerando di 11 miliardi di euro il valore del mercato del vino, il vino in rete vale quasi 3 miliardi, di cui uno e mezzo di vendita diretta. Ovviamente questa è una media, quindi le aziende più grandi e strutturate sono quelle che fanno la parte del leone, ma significa anche che le aziende più piccole, che non hanno la capacità di mettere in piedi e poi gestire un proprio e-commerce, possono affidarsi ai marketplace o ancora meglio a piattaforme dedicate per mantenere il rapporto diretto con i propri clienti, un aspetto che si perde quando ci si affida ai siti specializzati.
Ora, leggendo i dati di Mediobanca si vede subito un problema, che a mio avviso è fondamentale, ossia vengono rappresentate solo le aziende più grandi, più strutturate, che hanno più possibilità di investire anche nell’information technology. Per le cantine piccole e medie non si hanno dati disponibili, purtroppo, senza parlare di numeri possiamo supporre che per loro la vendita diretta sia avvenuta via telefono o al massimo tramite email da parte di quei consumatori che avevano già conosciuto la cantina in qualche fiera o andandola a trovare un fine settimana.
In media sono 15 milioni i turisti enoici che scelgono di andare a visitare una cantina durante le vacanze. A Vinitaly questo punto è stato preso in considerazione facendo il confronto con California e Francia; ebbene, mentre la Napa Valley vende quasi il 70% del vino direttamente in cantina, e la Francia arriva al 30%, in Italia siamo attorno al 10%. Una cifra piuttosto misera, rispetto ai concorrenti diretti. Altri dati indicano una cifra superiore al 25%, che già è meglio del 10, ma ancora poco rispetto alle potenzialità.
Nel 2019 i 15 milioni di enoturisti hanno generato un fatturato di 2 miliardi e mezzo di euro, sono circa 150€ a testa, comprensivi però della spesa per il pernottamento ed almeno una cena. Insomma, un turista, un visitatore del fine settimana spende per albergo e cibo, ma poi per il vino non rimane molto.
Come prima cosa occorre dire che i dati relativi al turismo del vino sono davvero scarsi. Ci sono i report di Mediobanca e il già citato report annuale di Città del Vino, ma entrambi sono per forza di cose parziali. Il primo perché considera solo le prime 240 aziende, il secondo perché è una analisi delle risposte degli intervistati, non tutti produttori di vino ovviamente.
La mancanza di dati riveste quasi tutti gli aspetti del settore vinicolo, in realtà, quindi c’è un problema di analisi della situazione. Piattaforme come Winearound possono per fortuna aiutare a tenere sotto controllo, con le sue statistiche, quello che accade, monitorando il numero di visitatori e di compratori in base al periodo o addirittura al momento della giornata, ma è per forza di cose una vista parziale. Un settore come quello del vino, tra i primi per importanza, fatturato e volumi nel mercato italiano, forse si meriterebbe di meglio. Per ora possiamo solo essere contenti che si terrà ad Alba a settembre 2022 la sesta conferenza mondiale sul turismo del vino, patrocinata come sempre dalla UNWTO, ossia la conferenza mondiale sul turismo.
Un altro problema è la drammatica frammentazione delle strade del vino in Italia, ne esistono oltre 150, il che è normale per un paese come il nostro con la più grande varietà di uve da vino al mondo, con territori e borghi che ognuno ha una storia propria da raccontare. Le strade del vino in Italia interessano circa 1450 comuni, oltre 400 denominazioni di vino, e 3300 aziende agricole. Ci sono però quasi 8000 aziende vinicole che sono aperte alle visite, aziende che non fanno parte di circuiti ufficiali o comunque conosciuti, e quindi si basano molto sul turista occasionale e sul passaparola.
Iniziamo dalla ricerca della strada giusta: non esiste un portale, un sito web, un’app ufficiale, che consentano di avere a portata di mano o di smartphone un elenco di tutte le strade del vino, che ricordo sono istituite con una legge del 1999 e devono avere determinate caratteristiche di segnaletica e di servizi offerti. Per un Italiano che conosca la geografia della regione di destinazione potrebbe non essere un problema, ma mettetevi nei panni di un tedesco, di uno spagnolo, di un americano, che vengono nel nostro paese. Ed ecco perché la regione più gettonata per il turismo del vino è ancora una volta la Toscana, seguita dal Piemonte. Tutti gli altri prendono le briciole, senza colpa loro.
Inoltre c’è il problema della connessione di rete: in molte zone è difficile navigare da smartphone, e questo rende ancora più complicato trovare la cantina giusta da andare a visitare. Questa estate sono stato in vacanza tra Castagneto Carducci e Bolgheri, e in alcuni punti il mio provider era praticamente inesistente.
La maturità digitale è quindi un problema. Di queste 150 strade del vino in realtà solo il 30% sono realmente attive mentre un altro 20% è in fase di avvio. Di alcune non esiste nemmeno un sito web di riferimento, nonostante abbiano una sede ufficiale. A cosa dovrebbero servire, ad essere sinceri non lo so.
I siti web di quelle che ce l’hanno, sono tutti completamente differenti, ognuno con la propria grafica e impaginazione, con le informazioni su sagre e fiere, le migliori presentano anche eventi del territorio come feste tradizionali, ma sono poco utilizzabili da un turista che voglia organizzarsi un viaggio tra vigneti e barrique. Insomma, il fai da te, che ormai da oltre 10 anni è il modo con cui il turista medio si organizza la vacanza, il fai da te è quasi impossibile.
Questa mancanza di coordinamento porta quindi chi vuole fare una visita e magari portarsi a casa qualche bottiglia presa direttamente dalla cantina, a spingersi verso le tappe più conosciute, Toscana e Piemonte appunto. Ci sono per carità eccezioni sparse in altre regioni, ma ad esempio nel Lazio esistono ben due strade del Cesanese, il che è piuttosto ridicolo a mio avviso.
Organizzarsi da soli non sempre è possibile, non per tutti quanto meno. Con una dimensione media attorno ai 2 ettari, spesso a conduzione familiare, il povero vignaiolo non ha la possibilità di mettersi a gestire anche l’aspetto turistico. Ai governi nazionali, o almeno a quelli regionali, andrebbe chiesto di coordinare questo settore con una sezione dedicata nei siti web istituzionali. Dunque, un problema di non semplice soluzione a livello singolo.
Quel che può fare però la singola cantina è cercare di sponsorizzarsi da se, quando va in fiera, presentando i vini al ristorante locale, e soprattutto chiedere alle agenzie di marketing di farsi dare una mano. Non basatevi sui like dei social, spesso non vogliono dire assolutamente niente.
Occorre imparare a tenere un rapporto costante coi propri clienti, a chi interessa naturalmente, con scambi di opinioni, consigli su abbinamenti, spiegazioni su come viene fatto il vino. Il rapporto diretto, la fidelizzazione è ancor più importante se si vuole far venire gente in cantina, si deve creare un rapporto per cui il turista vuole incontrare fisicamente, e non solo virtualmente, la persona con cui ha scambiato pareri in una chat o sotto ad un post. È faticoso, naturalmente, ma è questo il modo per mantenere vivo l’interesse.
C’è poi da considerare l’esperienza della visita. La gentilezza e l’ospitalità delle aziende vinicole in Italia non sono certo in discussione, e chi visita per la prima volta una cantina ne rimane affascinato, non importa di quale dimensione sia. Ma forse occorre dare anche qualcosa in più, non basta un giro turistico fra vigna e cantina e degustazione finale. Sfruttare le caratteristiche del territorio, una giornata organizzata con visite a musei e zone archeologiche o storiche che certo non mancano.
Donatella Cinelli Colombini, presidente del movimento Donne del Vino, lo ha chiamato la ‘terapia del paesaggio’ ossia mostrare come il vigneto, ed il vino che si produce, sia fortemente legato al territorio in tutti i suoi aspetti, dal sole al vento, dalla conformazione del terreno alle tradizioni storiche.
Raccontare una bella storia è sempre un motivo di interesse per qualunque visitatore.