Prosecco: Il Buono, il Brutto e il Cattivo
Una analisi quasi seria sulla nota vicenda del Prosecco e del Prosek
Le ultime due settimane ha tenuto banco ovviamente la querelle (anche qualcosa in più) tra l’Italia e la Croazia sul vino Prosek, originario della Dalmazia, e la sua ovvia assonanza con il Prosecco veneto, il vino forse più noto e venduto in tutta Europa.
Il Buono
La questione sul nome Prosecco viene da relativamente lontano; fino al 2009 Prosecco era il nome sia dell’uva che del vino; questo però dava la possibilità a qualunque regione vinicola di produrre un vino con il nome Prosecco, proprio come chiunque può produrre Sangiovese o Chardonnay. Naturalmente non si può produrre un vino col nome Chianti o Bordeaux fuori dalle regioni del Chianti o di Bordeaux. Infatti questi sono nomi regionali, che appartengono ovviamente al luogo a cui danno il nome.
Il Veneto produce 620 milioni di bottiglie, di cui 370 milioni esportate in tutto il mondo; in soldi vuol dire 2 miliardi, ossia il 16% di tutto il vino esportato. Non male direi.
Per evitare quindi che altri posti potessero usare il nome Prosecco usando uve Prosecco, l’Italia ha deciso di modificare il nome dell’uva tornando al nome antico, Glera; inoltre si è appellata al fatto che in Friuli, la regione da dove probabilmente deriva il Prosecco, esiste un piccolo paese che si chiama proprio Prosecco. Chiaramente il Prosecco è ormai IL vino del Veneto, ma questi sono particolari: Prosecco è il nome di un paese italiano, e tanto basta per poter dire che il vino Prosecco è un marchio protetto italiano.
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Il Prosecco è prodotto con il metodo Martinotti (o Charmat), e quindi con una seconda fermentazione in autoclave. Non dimentichiamoci inoltre di un Prosecco prodotto con un metodo per così dire ‘ancestrale’, il Colfondo che ormai è una realtà consolidata per il Prosecco.
Forse è inutile che lo dica, ma insomma sono Conegliano e Valdobbiadene le zone di produzione del Prosecco, a cui si aggiunge l’eccellente Asolo; se aggiungiamo anche il Prosecco Superiore di Cartize (Valdobbiadene), il panorama è abbastanza completo. Ci sono due tipologie di Prosecco, sia DOC che DOCG, in funzione della sua provenienza.
Quindi, in definitiva, chiunque può produrre un vino con uve Glera, ma nessuno può produrre un Prosecco al di fuori delle zone di Valdobbiadene, Conegliano, Asolo. Tant’è.
Non sempre si può vincere, cantavano The Rokes a Sanremo 1967.
Se ricordate la storia del Tokaj, è la stessa cosa ma al contrario. Dal 2007 in Italia non si può più produrre Tokaj, che da allora si chiama Friulano, o Tai, perché in Ungheria esiste un paese che si chiama Tokaji. Il Friulano si produce con la Sauvignonasse, ed è completamente differente dal Tokaji ungherese, prodotto con Furmint. Ma come abbiamo visto, il nome geografico ha la priorità.
Il Brutto
La Commissione Europea ha concesso alla Croazia di usare il nome Prosek per un vino prodotto in Dalmazia, e questo ha fatto saltare dalla sedia il ministro dell’agricoltura Patuanelli e naturalmente il presidente del consiglio regionale veneto, Luca Zaia (mi rifiuto di chiamarli governatori: tutti sovranisti e poi scimmiottiamo gli Stati Uniti).
L’Italia ha presentato ricorso alla decisione della Commissione UE perché il nome è troppo simile al Prosecco italiano (anzi, veneto), e probabilmente il consumatore medio potrebbe non riconoscere la differenza, a parte il prezzo: il Prosecco si trova anche a 7€ (quelli decenti, naturalmente), il Prosek è venduto nei supermercati ungheresi attorno ai 20€.
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I due vini inoltre sono del tutto differenti, così come lo sono il Tokaj ungherese e il Friulano italiano. Il Prosek è un vino dolce, il Prosecco naturalmente no. Il Prosek è un vino fermo, il Prosecco è frizzante o spumante. Vini differenti, nomi molto simili, ma per la Commissione UE la similitudine non basta, e quindi secondo loro Prosek è ammissibile. La spiega un po’ meglio Unione Italiana Vini.
L’Italia ha presentato un appello che verrà discusso probabilmente entro il mese di ottobre.
Il Cattivo
Ma naturalmente alla questione sui nomi c’è anche un’appendice, che ci porta direttamente dall’altra parte della Terra (per chi crede che sia sferica, naturalmente), ossia l’Australia.
Nel 1999 un emigrante italiano, Otto dal Zotto di Valdobbiadene, importò un po’ di barbatelle di Glera (che all’epoca si chiamava ancora Prosecco, come ho scritto all’inizio) per piantarle nella sua tenuta della King Valley. E naturalmente nelle etichette dei suoi vini fa bella mostra di se il nome Prosecco. Non è l’unica azienda vinicola a produrre questo vino, ed il totale di Prosecco australiano vale attorno ai 30 milioni di dollari. C’è anche la strada del Prosecco della King Valley, tanto per fare un completo lavoro di marketing. Ne scrissi sul mio blog Storie del Vino qualche anno fa.
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Nel 2013 l’Italia chiese al competente ufficio del WTO e della UE di sanare questa situazione, impedendo che in Australia venisse usato il nome Prosecco per i loro vini, ma il governo di Canberra (che è la capitale dell’Australia) rigettò il ricorso, perché, dice la federazione dei viticoltori australiani, la registrazione europea è successiva all’uso del nome Prosecco da parte loro, che è datata fin dal 2000 (il Prosecco è tutelato dal 2009, sempre come ho scritto lì sopra).
Il mercato di sbocco più naturale per il vino australiano è ormai il Regno Unito, soprattutto ora che la Cina ha messo dei dazi enormi sulle merci australiane. E ai Britannici, grandi consumatori di Prosecco, non è parso vero di avere un Prosecco australiano al posto di quello italiano.
Per qualche dollaro in più
Il problema dell’Italian Sound nei prodotti alimentari è ormai noto, primo fra tutti il ‘parmesan’ al posto del Parmigiano. È uno sporco trucco di marketing (e i trucchi di marketing sono quasi tutti sporchi, sono trucchi) che fa pensare, ad esempio negli Stati Uniti, che ‘parmesan’ sia il nome del noto formaggio italiano. È la stessa cosa che accade quando trovate in una bancarella al mercato delle borsette marcate ‘Fenti’ oppure occhiali marcati ‘Reyband’. Nessuno è così fesso da confonderli con quelli originali di cui storpiano il nome, ma gli americani sono più fessacchiotti di noi e così comprano il parmesan pensando sia parmigiano. Poi vai a spiegare che noialtri il formaggio lo facciamo meglio di loro e che il nome viene dalla città di Parma. Si sono inventati un nome falsato e la gente lo compra.
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Tra Prosecco e Prosek il rischio in realtà sembra quello, ma così non è. I due vini come ho scritto sono diversi anche in termini di prezzo, oltre che di produzione, quindi non possono essere scambiati tra loro. Ma il consumatore svedese se ne accorgerebbe? E quello inglese? o tedesco?
Dunque, per qualche soldo in più, si fa leva sul Made in Italy per far passare come italiani certi prodotti enologici. Questa è la cosa che il Ministero dell’Agricoltura vuole giustamente difendere nel ricorso che verrà presentato.
Vedremo come andrà a finire, spero che il ricorso venga accettato e che i produttori croati debbano trovare un altro nome al posto di Prosek. Però mi chiedo perché i produttori di Prosecco hanno così timore di un vino che si vende moltissimo di meno rispetto al loro, completamente diverso. Possibile che in tanti anni l’Italia non abbia pensato di difendere con più attenzione i propri marchi di eccellenza? Magari nella Commissione UE siedono solo membri astemi, che quindi non sanno nulla di vino, ma in ogni caso la difesa del Made in Italy dovrebbe iniziare da una buona campagna di marketing, cosa che invece per ora non vedo in giro.
Dall’ultima newsletter sono online questi episodi:
Episodio 139 - Blockchain, QR e Celebrity Wines
Episodio 140 - Prosecco: Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo
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