Il 24 maggio del 1976 fu un giorno strano, per il mercato del vino e per tutto il suo futuro. Fu il giorno in cui un concorso enologico avrebbe spostato l’asse dell’interesse mondiale del vino. Quanto accadde non fu completamente compreso inizialmente, ma in pochi anni si videro tutte le conseguenze. Questo post è in pratica, come titolava nel 2016 un post di W. Blake Gray, ‘la storia dietro la storia che fece la storia del vino’. L’evento era la Paris Wine Tasting, poi conosciuta come il Judgement of Paris, e l’ideatore di quella degustazione era Steven Spurrier, morto nel 2021 a 79 anni. Potete leggere una sua intervista sul Time in questo articolo del 2016.
Spurrier aveva conosciuto il vino negli anni 50 grazie al padre che un giorno gli fece assaggiare un Porto Cobin del 1908. Ne rimase affascinato, e da allora iniziò la sua carriera come degustatore, assaggiando almeno 200 vini a settimana. Negli anni 60 si spostò a Parigi e per l’epoca era una cosa piuttosto rara: un degustatore inglese che si muoveva nelle sale di degustazione francesi. Ancora più raro, e quasi scandaloso, fu quando creò proprio a Parigi la sua Académie du Vin. Un inglese che apriva una scuola per insegnare ai francesi come si assaggia un vino, ed un wine shop era una cosa mai vista prima. Il fatto di essere l’unica enoteca di Parigi dove si parlasse inglese fu notato dai produttori di vino della California, che producevano buoni vini ma completamente fuori dal giro grosso del mercato, che si svolgeva quasi tutto in Francia. Per questo quando Spurrier organizzò le due serate del Judgement of Paris si aspettava come miglior risultato un terzo posto, e raccontava che gli sarebbe andato bene anche un quinto.
Fino alla metà degli anni 70 il vino francese era sempre il primo in ogni degustazione internazionale, in ogni concorso, in ogni evento. I Cabernet Sauvignon di Bordeaux, i Pinot Noir e gli Chardonnay della Borgogna, i Sauvignon Blanc della Loira, erano praticamente imbattibili, risultavano immancabilmente primi in ogni concorso e dominavano il mercato. Questo almeno era il mondo del vino fino al 24 maggio del 1976, quando si tenne a Parigi la degustazione che doveva essere semplicemente un evento pubblicitario per i vini di cui Spurrier era rappresentante.
Cabernet Sauvignon e Chardonnay erano coltivati in Napa Valley già da qualche decennio, anche se con risultati ancora poco convincenti, soprattutto perché il predominio della Francia era quasi assoluto e pochi ristoranti si fidavano a mettere vini americani nelle proprie carte dei vini.
L’idea di organizzare una degustazione di vini californiani a Parigi gli venne parlando con la sua collega Patricia Galagher, approfittando del bicentenario della rivoluzione americana, 1776. Spurrier fu subito entusiasta dell’idea, non perché avesse bisogno di pubblicità, ma per quello che lui stesso definiva come un senso di giustizia per il vino. Nella sua intervista al Time, Spurrier si definiva un piolo quadrato in un buco rotondo: si sentiva fuori ambiente per essere un inglese a Parigi, di essere solo tollerato dall’ambiente francese del vino, in cui fino a quel momento solo i francesi potevano produrre e scrivere di vino. E quindi accettò di organizzare una degustazione di vini californiani, che nasceva solo come una serata di assaggi e non prevedeva la presenza di altri vini.
Patricia Gallagher si mise ad esplorare le cantine di Napa nel 1975, tornando poi da Spurrier l’anno dopo per discuterne insieme, stabilire la lista dei partecipanti ed iniziare ad invitare i giudici francesi. Fu solo un paio di settimane prima dell'evento che Spurrier pensò di trasformare la degustazione in un concorso con una degustazione alla cieca, e fu così che i vini di Napa si trovarono accanto ai migliori vini di Bordeaux e di Borgogna.
Si arrivò quindi alla organizzazione della gara divisa in due serate, una dedicata ai vini bianchi e la seconda ai vini rossi. Ogni sera c’erano dieci vini da giudicare, 6 Chardonnay californiani e 4 della Borgogna per i bianchi, 6 Cabernet Sauvignon di Napa valley e 4 di Bordeaux nel tipico assemblaggio di Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot, per i rossi. Per i vini francesi erano presenti le migliori cantine storiche, tra cui Chateau Mouton Rotschild, le cui etichette erano state disegnate da Picasso, Mirò e Salvador Dalì, e Chateau Haut Brion, di cui avevano scritto il filosofo Locke e lo scrittore Jonahtan Swift, l’autore dei viaggi di Gulliver. Questo era anche uno dei vini più apprezzati da Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, e quindi stiamo parlando di cantine che avevano le radici ben piantate nella storia. I bianchi non erano da meno: Puligny Montrachet, Mersault, Clos de Mouches e Batard Montrachet, nomi da far impallidire chiunque, soprattutto le sconosciute cantine californiane come Chateau Montellera, Chalone Vineyard, e Stag’s Leap Wine Cellar.
Le annate erano tutte piuttosto recenti, si andava dal Cabernet Sauvignon 1969 della Freemark Abbey Vineyard al giovanissimo Chardonnay della Chalone Vineyard del 1974, e naturalmente anche i francesi erano vini giovani, dallo Chateau Haut Brion 1970 al Mersault 1973. Erano previsti 11 giudici, solo due non erano francesi ossia Patricia Galagher, americana, e lo stesso Steven Spurrier. Tra i francesi i nomi di spicco erano senz’altro Auber de Villain, proprietario del Domain Romanee-Conti, e Jean Claude Vrimat, proprietario del ristorante Tajevant. Il regolamento della degustazione prevedeva che i soli voti validi fossero quelli dei 9 giudici francesi, che quindi avrebbero decretato quale, tra i vini assaggiati alla cieca, sarebbe stato il migliore. I giudici sedevano a tavoli separati, apparecchiati con una tovaglia bianca, un secchiello, biscotti secchi per ripulire la bocca tra un sorso e l’altro. La solita coreografia.
Ogni giudice doveva dare la propria votazione su una scala di 20 punti, tenendo conto dei soliti parametri: colore, ampiezza del bouquet, complessità aromatica, morbidezza, tannini, acidità, lunghezza. Ogni giudice doveva fornire la propria lista di preferenze, indicando sia il punteggio totale che quello assegnato per ogni caratteristica. Il nome della degustazione, Judgement of Paris, è in realtà un gioco di parole. Paris in inglese può voler dire Parigi oppure Paride. L’evento di quella sera di maggio del 1976 fu quindi paragonato alla scelta che dovette fare Paride scegliendo la dea più bella, una scelta che portò alla guerra di Troia e alla fuga di Enea, i cui discendenti avrebbero poi fondato Roma. E per certi versi il Giudizio di Parigi del 1976 ebbe quasi lo stesso effetto del Giudizio di Paride avvenuto 5000 anni prima.
I giornalisti avevano snobbato l’evento ben sapendo come sarebbe andata a finire la gara. Secondo l’unico giornalista presente, George Taber del Time, i commenti dei suoi colleghi erano:
Tutti sanno che i vini francesi vinceranno, perché perdere tempo? È come il gigante contro il ragazzino, nessuno la prende seriamente. Il vino della California non esiste.
Anche Taber non si aspettava grandi novità dalla serata, e come avrebbe scritto poi in un suo libro dedicato a questa storia si chiedeva perché il suo giornale lo avesse mandato a perdere tempo per assistere alla competizione. Non c’era nemmeno un fotografo ufficiale, le uniche fotografie furono scattate dallo stesso Spurrier e dalla moglie Annabelle. Naturalmente anche Spurrier era perfettamente convinto che i vini francesi sarebbero risultati i vincitori nelle due serate. Conosceva ed apprezzava i vini californiani, e sperava solamente che quella serata avrebbe fornito un po’ di notorietà alla regione, anche perché aveva intenzione di inserire qualche cantina di Napa nel suo listino. Come riporta George Taber, durante gli assaggi i giudici annusavano, sorseggiavano e sputavano, pensando di essere del tutto capaci di separare la nobiltà dalla plebe. I commenti furono ripresi dal giornalista che annotava il numero della bottiglia che i giudici stavano assaggiando in quel momento, e si accorse subito dalle loro parole che erano piuttosto confusi.
Alla fine della prima serata, fu annunciato il punteggio finale dallo stesso Spurrier: i giudici avevano assegnato i punteggi migliori non ai vini francesi, ma a quelli americani. La competizione per i vini bianchi fu vinta dallo Chardonnay Chateau Montellena 1973, Calistoga, California, con 132 punti.. Tra i primi quattro piazzati, solo uno era francese, il Mersault Chames Roulò della stessa annata con 126,5 punti.
Non ci credeva nessuno.
I giudici sentivano di aver fatto qualche errore di valutazione, e anche il capo cantiniere di Montellena, un immigrato croato di nome Mike Grgich non diede importanza alla cosa fino a che ricevette una telefonata dal New York Times che gli voleva scattare qualche foto. Racconta Grgich che dalla contentezza si era messo a ballare in cantina e cantare in croato urlando al miracolo. E i giudici, i giudici francesi, non erano molto felici: proprio loro, il gotha dei degustatori, nove francesi, avevano dato la vittoria agli sconosciuti vini bianchi della California.
La sera dopo, la degustazione dei vini rossi prese più tempo, sembrava che i giudici volessero stare bene attenti a non ripetere l’errore della sera prima.
Ma quando vennero scoperti i punteggi, fu ancora un americano a risultare primo in classifica, il Cabernet Sauvignon 1973 di Stag’s Leaps Wine Cellar, con 127 punti e mezzo contro i 126 del secondo classificato, lo Chateau Mouton-Rotschild del 1970. L’attenzione posta dai giudici nella degustazione dei rossi risulta dal fatto che questa volta fra i primi quattro vini, tre erano francesi. Ma resta il fatto che il primo era un vino della California. Da questo link potete consultare la classifica finale.
Una bottiglia di questo vino ora è presente anche all’istituto Smithsonian come uno dei 101 oggetti che hanno fatto l’America, insieme alla bussola di Lewis e al telefono di Bell.
I quattro paragrafi che George Taber scrisse per Time Magazine sono i responsabili dei progressi del vino americano: è lui il motivo per cui la storia è diventata famosa. Il merito del Judgement of Paris, di Steven Spurrier e dell’articolo di Taber è stato mostrare che non solo in Francia si possono produrre grandi vini; da quel momento in poi sugli scaffali delle enoteche e nelle carte dei vini dei ristoranti americani hanno iniziato a comparire vini dagli Stati Uniti, dalla Nuova Zelanda, l’Australia, il Sudafrica. La vittoria dei vini della California fu un vero e proprio grande scandalo nel mondo del vino. Ma soprattutto i vini del resto del mondo che non era francese iniziarono a partecipare ai concorsi senza più sensi di inferiorità rispetto ai vini francesi.
Warren Winiaski, il proprietario di Stag’s Leaps Wine Cellars il cui Cabernet sauvignon si piazzò al primo posto nella competizione dei vini rossi, dieci anni dopo vendette la sua azienda per 185 milioni di dollari, una cifra che prima della competizione di Parigi non sarebbe stata nemmeno pensabile. Il giorno dopo la degustazione, racconta che doveva tenere la cornetta del telefono staccata, perché tutti telefonavano chiedendo di comprare i suoi vini.
Prima di quella sera “il vino della California non si vedeva, il vino della California non esisteva”, avrebbe raccontato Spurrier qualche anno dopo dalla sua casa nel Dorset, dove era tornato a lavorare come consulente e scrittore di vino. George Taber del Time Magazine, l’unico giornalista presente alla degustazione, scrisse nel libro che raccontava la serata:
I francesi avevano ingannato il mondo facendo pensare che solo in Francia si possano fare grandi vini, che solo in Francia si ha il clima perfetto, la terra perfetta, l'uva perfetta. La Francia era su un piedistallo. La Francia era unica
Dopo quelle due serate il proprietario della più grande tenuta della Borgogna in Francia disse a Spurrier che il Giudizio di Parigi "era stato un calcio nel fondo dei pantaloni per il vino francese". Fu praticamente bandito dalle cantine dove una volta era un gradito ospite e accusato di aver organizzato l'umiliazione della Francia. Ed anche molti dei giudici furono invitati a dimettersi da posizioni d'onore e riconoscimento. Nel 1988 Spurrier lasciò tutti i suoi interessi nel settore del vino in Francia e tornò nel Regno Unito, lavorando come consulente e come giornalista. È stato il fondatore nel 1982 e direttore del Wine Course presso la casa d’aste Christie’s. Ha lavorato come consulente del vino di Singapore Airlines e consulente per Decanter. Una sintesi della sua vita nel campo del vino è stata raccontata da Eric Asimov in questo post.
Alla fine il mondo del vino francese ha rivalutato Spurrier, rendendosi forse conto che tenere il broncio non le stava facendo onore e nel 1988 fu nominato Le Personalite de l'Annee per i suoi servizi al vino francese. Nel 2001 gli è stato conferito il Grand Prix de l'Academie Internationale du Vin . Ha fondato nel 2019 la Biblioteca dell'Academie du Vin con Simon McMurtrie per promuovere la scrittura del vino, l’ultima edizione del suo libro di memorie è stata pubblicata nel 2020.
Spurrier ha ricevuto diversi premi internazionali per la scrittura del vino, tra cui Le Prix de Champagne Lanson e il Bunch Prize, entrambi per articoli pubblicati su Decanter. Su Club Enologique ha scritto il suo ultimo articolo, dove parlava di cosa beveva durante il lockdown.
Immagine iniziale: Il giudizio di Paride, Rubens